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Arte della Romagna: musei e chiese del territorio

Arte della Romagna: musei e chiese del territorio

Rocche e fortezze della Romagna tutte da scoprire, i luoghi da visitare e la storia da conoscere; un viaggio nei secoli passati tra le testimonianze che la storia ci ha lasciato.
Di seguito vi proponiamo alcune delle principali ricchezze della Romagna: chiese, musei e castelli che raccontano le vicissitudini storiche del territorio romagnolo e il loro prezioso contributo alla nascita di alcuni comuni, perché la Romagna non sia solo sinonimo di mare, ma essa racchiude anche natura, parchi,, arte culinaria e soprattutto arte monumentale!
Nell’illustrarvi le bellezze locali, Full Holidays vi augura buon viaggio.

FORLI’, COMPLESSO MUSEALE SAN DOMENICO. Il complesso di San Domenico, a Forlì, è formato dalla chiesa, ora in parte priva del tetto e della facciata meridionale, da un primo chiostro ad essa adiacente e completamente chiuso e da un secondo chiostro, aperto su un lato.
La chiesa originaria (XIII sec.) era più piccola dell'esistente; la fase successiva di ampliamento rinascimentale prolunga l'aula con il progressivo avanzamento della facciata e l'aggiunta di cappelle, fino ad arrivare alla situazione attuale, che rispecchia la ristrutturazione completata nel 1704.
L'indagine archeologica, estesa a tutto il complesso del San Domenico e diretta dalla Soprintendenza Archeologica dell'Emilia Romagna, ha permesso di individuare la primitiva chiesa, databile al XIII secolo: si trattava di un edificio di circa 36 metri di lunghezza dotato di abside semicircolare lesenata, al cui fianco sorgeva il campanile. Lo spazio interno era a tre navate scandite da una serie di pilastri.
Un piccolo porticato era costruito a breve distanza dal fianco meridionale della chiesa, lungo i cui muri perimetrali sono venute in luce alcune sepolture alla cappuccina.
Tra il XV secolo l'inizio del XVI secolo si assistette ad un ampliamento del complesso con allungamento della chiesa (m 57,50 x 17) che diventò a navata unica. Successivamente furono costruite una serie di cappelle che ospitarono tombe a camera di differenti dimensioni, talvolta per sepolture plurime. Nella zona absidale, adiacente al campanile, fu realizzata la sagrestia, a fianco della quale vennero edificati il primo chiostro e l'ala orientale del secondo chiostro, portato a termine in tempi successivi. Recenti indagini in quest'ultima zona hanno consentito di individuare alcune strutture artigianali legate alla vita quotidiana all'interno del convento.
Nel XVIII secolo la chiesa subì un ulteriore ampliamento raggiungendo le dimensioni attuali (m 68 x 22,80): l’asse venne spostato verso nord, l'abside allargata ed allungata, furono spostati i muri perimetrali dell’unica navata e gli allineamenti delle arcate delle cappelle, infine la facciata fu arretrata rispetto alla precedente in ragione delle nuove proporzioni. Furono modificate anche le volumetrie delle cappelle e venne costruita una grande piattaforma per ospitare l'altare maggiore. All'interno della chiesa vennero realizzate numerose tombe a camera di notevoli dimensioni, talune con gradinata d'accesso.
La decorazione pittorica del refettorio scoperta nel corso dei primi sondaggi effettuati nel 1996 è oggi interamente restaurata. Sulla parete nord-est è collocato un affresco ripartito in tre scene da elementi architettonici. La scena centrale raffigura la Crocifissione alla presenza della Madonna, di Maria Maddalena, di San Giovanni Evangelista e del committente. Le due scene laterali illustrano due eventi particolarmente significativi della vita di San Domenico: a sinistra, l'apparizione dei santi Pietro e Paolo che consegnano a San Domenico il bastone e il libro dei Vangeli, mentre egli vede i suoi confratelli che vanno ad evangelizzare il mondo; a destra, San Domenico resuscita il giovane Napoleone Orsini caduto da cavallo. Un documento del 1520 ne fa attribuire l'esecuzione a Girolamo Ugolini, figlio di Marco Antonio Argentiere.
Sulla parete sud-ovest è stato riportato alla luce un altro dipinto murale che si presentava ricoperto da molti strati d'intonaco. Un'architettura tripartita fa da sfondo ad un evento miracoloso della vita di San Domenico: il miracolo dei pani, tema prediletto dai Domenicani per ornare i refettori in alternativa all’Ultima Cena.
L'eclettica tavolozza, la predilezione per i toni squillanti ed i cangiantismi, oltre che le scelte iconografiche e le soluzioni adottate, ci testimoniano la cultura artistica policentrica propria del territorio forlivese, che nel ?500 ruota fra arcaismi neo-quattrocenteschi ed innovazioni desunte dalla grande maniera consolidata a Roma da Michelangelo e Raffaello.
Nel periodo napoleonico la chiesa viene espropriata per usi militari, sarà definitivamente acquisita al patrimonio dello Stato nel 1866-67.
La funzione assegnata al complesso è quella di sede della Pinacoteca e dei musei civici (convento) e di spazio assembleare multifunzionale (chiesa), mantenendo la biblioteca civica nel Palazzo del Merenda, in collegamento con il campus universitario.  Vi si svolgono già da anni  mostre di richiamo internazionale tra le cui importanti ricordiamo quelle su Canova, i fiori nell’arte dal Seicento a Van Gogh, Melozzo da Forlì, Egitto mai visto.

TREDOZIO, EX MONASTERO DI S.ANNUNZIATA. Data presunta di fondazione 1060.
1563: dal monastero del "Luogo d'Africa" vi si trasferirono 14 suore Domenicane.
1810: Napoleone soppresse gli ordini monastici e le suore domenicane dovettero abbandonare il convento, che, privato di ogni attività, fu messo in vendita e acquistato nel 1840 dalla famiglia Fabroni di Marradi: nel 1986 la famiglia Fabroni vende il convento al Comune di Tredozio.
Dopo l'acquisto il Comune di Tredozio e la Soprintendenza ai Beni Culturali ed ambientali di Ravenna, hanno iniziato un lungo lavoro di restauro conservativo dell'immobile fino al’inaugurazione nel marzo 2012. Nel piano terreno del fabbricato e nell'ex Chiesa, restaurata grazie ad un congruo investimento della Soprintendenza di Ravenna e della Comunità Europea, si terrano annualmente concerti, eventi e mostre, in particolare nel periodo invernale la mostra dei presepi. Parte del complesso sarà adibito anche a ricettività alberghiera e centro di informazione del Parco delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna.
Il fabbricato colpisce per le sue vaste dimensioni e la sua struttura a ferro di cavallo rivolto verso il monte e la corte interna.
Il complesso è costituito da un fabbricato di superficie coperta di circa mq. 1300 che si articola attorno ad un cortile ed è circondato da una cinta muraria che racchiude una porzione di terreno di circa mq.6200, che sommato al terreno prospiciente il fabbricato creano una pertinenza di circa un ettaro. Si sviluppa su n.3 piani fuori terra, per un totale di circa n.100 vani con una superficie utile di circa mq.3.600. Al piano terra vi sono ubicate la foresteria, il porticato interno, la Chiesa, il refettorio, le cantine e altri spazi di servizio. Al piano primo e al piano secondo vi sono le celle e i servizi della clausura.

Cesena, Castrocaro Terme, Forlimpopoli, Meldola, Gatteo: “Il sistema delle fortificazioni della Romagna Pontificia e Malatestiana

Cesena, Castrocaro Terme, Forlimpopoli, Meldola, Gatteo: “Il sistema delle fortificazioni della Romagna Pontificia e Malatestiana

Ancora un viaggio tra l’arte romagnola: rocche fortezze e castelli nei comuni di Cesena, Castrocaro Terme e Terra del Sole, Forlimpopoli, Meldola, Gatteo.

ROCCA MALATESTIANA DI CESENA. La Rocca Malatestiana è nata come fortezza militare a difesa della città di Cesena ed è la terza fortificazione costruita a poca distanza dalle rovine delle due precedenti, di epoca tardo romana e medievale.
La prima fortezza, detta “Rocca antica”, si trovava più a monte, al Beccavento, sull’antico “castrum roma¬num”, e venne distrutta da una frana provocata da una piena del fiume Savio intorno all’anno 1000. Successivamente venne costruita più a valle la seconda, detta “Rocca vecchia” nota come “dell’Imperatore” perché nel 1177 vi soggiornò Federico Barbarossa che costruì nuove fortificazioni ed una torre poderosa nella quale visse per tre anni sua moglie Beatrice. In seguito a tutto questo Cesena fu annoverata tra le città imperiali.
Anche Federico II giunse a Cesena nel 1241 per punire la città di essere passata tra i guelfi; dopo la resa i cesenati gli consegnarono il castello e Federico lo fece distruggere per costruirne uno nuovo più solido e strategicamente più difendibile, ma anche questo fu distrutto nel 1248 per ordine del card. Ottaviano degli Ubaldini, legato papale. Nel 1294, Malatestino, nominato podestà di Cesena, fece distruggere le fortificazioni residue e la chiesa all’interno del castello. Solo nel 1300, Federico di Guido da Montefeltro, divenuto capitano del popolo, fece riparare il “Castel Vecchio”, cioè quel “mucchio” di fortificazioni più volte demolite e ricostruite, ampliate e dimezzate, che costituirono, da quel momento in poi una rocca nuova rispetto e quella del Barbartossa, ma vecchia rispetto a quella che poi verrà edificata per volere di Galeotto Malatesta.
Nel 1380 incominciarono il lavori di costruzione della “Rocca Nuova o Malatestiana” per iniziativa di Galeotto Ma¬latesta, che la rese punto strategico per la difesa della città. La cinta muraria, formata dalle alte e poderose cortine, è di pianta esagonale irregolare, con sette torri esterne di forme diverse; al centro si ergono le due torri comunemente denominate: Il Maschio quella più alta e snella, La Femmina quella più bassa e larga. I lavori terminarono all’incirca nel 1480, sotto la dominazione pontificia, regnante papa Sisto IV.
Nel 1500 Cesare Borgia, chiamato “il Valentino”, eresse Cesena a capitale del Ducato di Romagna, centro del suo potere e nel 1502 fece venire in città Leonardo da Vinci, che all’epoca stava se¬guendo la progettazione e costruzione del porto canale di Cesenatico, perché completasse la costruzione delle fortificazioni di piazza. Si deve quasi certamente al genio di Leonardo la soluzione adottata per le scale interne del torrione, sovrapposte e concentriche.
Fino alla fine del 1700 la Rocca mantenne la sua funzione di fortezza militare, ma dopo l’epoca napoleoni¬ca, attraverso lavori di modifica, venne trasformata in carcere sia all’interno delle torri Ma¬schio e Femmina, sia nella ‘Torre del Nuti”. La Rocca rimase carcere fino al dicembre del 1969 e solo nel 1970, quando il castello tornò al Comune, vennero eliminate alcune strutture della prigione
Nel 1974 venne collocato nella Torre Femmina il Museo della Civiltà Contadina che fi¬no al 1988 rimase l’unica parte visitabile dell’intero complesso.
Dal 1989 per ripetuti interventi di recupero e di adeguamento alle norme di sicurezza e per continue iniziative di valorizzazione quali mostre, spettacoli , manifestazioni varie, la Rocca si è proposta all’attenzione di cittadini e turisti e nel giugno del 2003 sono stati riaperti i camminamenti interni alle mura e il Torrione Maschio.

FORTEZZA DI CASTROCARO TERME. Nell'alto medioevo la rupe su cui si erge la Fortezza segnava il confine che divideva il regno Longobardo dai domini bizantini. E' in questo periodo che probabilmente vennero poste le prime pietre della torre che ancora oggi domina il paese.
La prima testimonianza scritta dell'esistenza di un “castrum” fino ad oggi conosciuta risale al 1.059, quando il fortilizio era abitato da una famiglia comitale dell'entourage degli imperatori tedeschi. Dal 1118 il castello risulta appartenere ai Conti, infeudati dall'Arcivescovo di Ravenna, vassallo, a sua volta, dell'imperatore. Supponiamo che sia stata proprio questa famiglia, una delle più agguerrite dell'Appennino romagnolo, a trasformare la primitiva torre in una solida rocca, in grado di ospitare e proteggere la corte feudale, amministrare politicamente ed economicamente il territorio, controllare militarmente l'accesso alla valle.
In breve il castello di Castrocaro raggiunse una determinante rilevanza strategica, tanto che nel 1160 e nel 1164 ospitò anche l'imperatore Federico Barbarossa, a conferma dell'importanza che il fortilizio aveva ormai acquisito. Un documento del 1177 ci ricorda l'alleanza dei Conti di Castrocaro con il Barbarossa contro la Lega lombarda. Altri documenti ci ricordano che nel 1188 la Rocca era abitata dal conte Bonifacio.
Per la sua rilevanza strategica la Rocca fu sempre nelle mire del Papato, che più volte ne reclamò invano i diritti. Per questo motivo nel 1212 l'imperatore Ottone e i Conti di Castrocaro incorsero addirittura nella scomunica.
Nel 1220 l'imperatore Federico II riconfermò il feudo al conte Bonifacio. Lo stesso anno il cancelliere imperiale Cristiano di Magonza dispose che il rettore imperiale della Romagna dovesse insediarsi nella Rocca di Castrocaro.
Con la morte di Federico II (1253) e il disorientamento imperiale che ne seguì, il potere papale assunse maggior prestigio, e grazie all'aiuto militare angioino gran parte della Romagna finì sotto il potere temporale della Chiesa.
Nel 1282 fu la volta dei Conti di Castrocaro, che furono costretti a sottomettersi al papa Martino IV. Quell'anno il castello passò sotto il diretto controllo della Chiesa, che vi insediò proprie milizie ed un castellano. E' questa una data storica per Castrocaro, poiché la Fortezza cessa di essere residenza feudale, per divenire presidio militare e sede di tribunale. Per diversi anni la Rocca fu sede del Rettore di Romagna, individuato dal papa nella persona del Re di Napoli Roberto d'Angiò.
Sono di questo periodo sostanziali trasformazioni al complesso, che lo renderanno inespugnabile, se non col tradimento: “ il detto castello non si potea combattere … ed era molto forte di sito in tale modo che non si vedea che per battaglia si potesse vincere” (Anonimo fiorentino).
Nel Trecento, per la sua strategica posizione, la Rocca fu oggetto di aspre contese tra i signori locali e lo Stato della Chiesa. Subì assedi nel 1310, 1334 e nel 1350.
Nel 1371 la Rocca era ancora presidiata dalle milizie papali, come risulta dalla precisa Descriptio Romandiolae del cardinale Anglic.
Negli anni seguenti la situazione sociale e politica della Romagna peggiorò ulteriormente, a tal punto da rendere impossibile un efficace controllo militare della Romandiola. Papa Bonifacio IX, col proposito di rimpinguare le Casse della Camera Apostolica, nel 1394 impegnò ai Fiorentini il castello e il contado di Castrocaro per la somma di 18.000 fiorini d'oro. Ma al momento di consegnare la Rocca ai Fiorentini il castellano pontificio, che reclamava il pagamento di mensilità arretrate, si oppose. I Fiorentini tentarono quindi di conquistare la rocca con l'uso delle armi, ma inutilmente. Solo nel 1403, dopo lunghe trattative, e con il pagamento di altri 2000 fiorini, Firenze poté entrare in possesso dell'ambito fortilizio. La storica consegna della Rocca ai Fiorentini avvenne “Sabati die 19 mensis madii: et fuit in dicto Castro gaudium magnum, et nos de Forlivio e converso doluimus”.
Nel 1403, con la definitiva annessione alla Repubblica di Firenze, inizia per Castrocaro un periodo ricco di eventi di rilievo, sul piano politico, culturale e sociale. Grazie alla sua posizione decentrata rispetto alla capitale, sui confini con il dominio papale, Castrocaro fu elevata a capoluogo dei territori fiorentini in terra romagnola,: la Provinciae Florentiae in partibus Romandiolae , con sede di capitanato e tribunale. E' l'atto di nascita della Romagna toscana, che darà modo ai fiorentini di inserirsi definitivamente nella vita politica romagnola, aprendo una importante via commerciale verso l'Adriatico. Per circa 200 anni Castrocaro sarà il capoluogo della Romagna toscana.
Secondo gli Statuti del Comune di Firenze del 1415 nella Fortezza era di stanza una guarnigione di 8 uomini, al comando di un castellano, chiamato il Capitano del Cassero di Castrocaro
Per tutto il Quattrocento e la prima metà del Cinquecento il grande fortilizio rupestre fu interessato da importanti modifiche strutturali, fatte apportare dagli architetti militari fiorentini per adeguarla alle nuove esigenze belliche, sorte in seguito all'introduzione delle armi da fuoco. La Fortezza dette infatti buone prove della propria efficienza, resistendo efficacemente all'assalto di diversi eserciti al soldo della Chiesa, che a più riprese tentarono invano di conquistarla. Fu l'unica tra le rocche della Romagna toscana a resistere agli assedi del 1425, 1450, 1467 e 1529.
Di questo periodo sono gli Arsenali Medicei, straordinaria e ciclopica costruzione cinquecentesca, (unica in Italia per ampiezza e tipologia, oggi la definiremmo un prototipo) alla cui costruzione contribuirono famosi architetti come Antonio da Sangallo il Vecchio, Giovan Battista. Belluzzi (detto il Sammarino), Gabrio Serbelloni, Bernardo Buontanenti.

ROCCA ALBORNOZIANA DI FORLIMPOPOLI. La rocca di Forlimpopoli o rocca albornoziana, in memoria del suo edificatore, è una rocca che si affaccia sull'odierna Piazza Garibaldi nella città di Forlimpopoli.
La rocca fu edificata negli anni compresi fra il 1360 e il 1365 per volere del cardinale Albornoz, il cardinale al quale il papa affidò la riconquista delle terre romagnole.
Già prima dell'arrivo di Albornoz a Forlimpopoli esisteva una fortificazione a guardia delle mura cittadine. Nel 1356 gli Ordelaffi provvidero a restaurare e rafforzare le fortificazioni della città ma nel 1360 il cardinale Egidio Albornoz, alla testa delle truppe pontificie, dopo un lungo assedio, rase al suolo quasi l'intera città permettendo che le truppe saccheggino le abitazioni ed uccidessero gli abitanti.
La rocca viene riedificata sulle basi della precedente ed inglobando edifici preesistenti, come la vecchia chiesa che fungeva da duomo. Passato il periodo albornoziano, la città ripassa sotto dominio degli Ordelaffi ed uno di questi, Sinibaldo, fece rafforzare la struttura. Terminata la costruzione, Sinibaldo cedette la rocca al figlio Pino Ordelaffi il quale, morendo, lo lasciava in eredità nel 1402 al fratello Francesco.
La rocca ha forma quadrangolare ed è munita di 4 bastioni circolari posti a ciascuno degli angoli. La cortina meridionale è rafforzata dal mastio che custodisce l'ingresso sottostante. A tale scopo, per rafforzare le posizioni all'entrata, fu innalzato un rivellino che rafforzasse l'accesso alla rocca. Di tale rivellino, andato distrutto con il tempo, non rimane più traccia. Le due torri che guardano ad est attualmente hanno forma circolare, ma gli scavi archeologici hanno messo in evidenza le primigenie forme: avevano forma poligonale e solo verso la metà del '400 furono trasformate a pianta circolare che tutt'ora conservano.

ROCCA DI MELDOLA. La Rocca di Meldola è una delle più interessanti e meglio conservate fortificazioni dell’intera Romagna. Si tratta di un monumento complesso ed articolato, le cui fasi più antiche risalgono al Medioevo, successivamente oggetto di numerose ristrutturazioni e restauri in età moderna.
L'esatta epoca della costruzione non è nota, anche se si ritiene che il primo impianto risalga agli anni attorno al mille. Le prime notizie certe della rocca si hanno solo nel 1158 quando Bonifacio, figlio del conte Lamberto di Castrocaro, dona la rocca all'arcivescovo Anselmo, con il divieto di cederne il possesso ad altri a qualsiasi titolo. E' quindi in questa epoca che la fortezza entra a far parte dei possedimenti della chiesa.
Oggetto di aspri contrasti fra la chiesa Ravennate e il potere locale, nel 1283 passa sotto il diretto controllo della chiesa di Roma.
Vi furono ripetuti tentativi di conquista da parte degli Ordelaffi di Forlì che riescono a conquistarla nel 1350 con l'aiuto dei Malatesta e degli Estensi.
Riconquistata dalla Chiesa nel 1359 ad opera del Cardinale Albornoz in quel periodo il castello era "custodito da 20 famiglie".
Dal 1379 ha inizio su Meldola la signoria dei Malatesta, che governano fino al 1500. E' questo il periodo durante il quale si eseguono i primi importanti lavori di rafforzamento del castello.
Governata dal 1500 al 1503 da Cesare Borgia (il Valentino) a cui succedono i Veneziani che proseguono nell'opera di rafforzamento e abbellimento della struttura e dell'intero borgo sottostante.
Riconquistata dalle truppe papaline nel 1509, per passare poi dal 1518 ai Pio da Carpi e successivamente agli Aldrobandini e ai Pamphili, famiglie che eseguirono alcuni interventi volti principalmente ad ampliare e abbellire la parte adibita a dimora.
Occupata e saccheggiata dai Francesi nel 1797, negli anni successivi a causa dell'incuria e di eventi sismici ha inizio un costante e progressivo declino.
Di proprietà del Comune dal 1995 che ne ha iniziato l'opera di risanamento e ristrutturazione anche grazie ai fondi della Comunità Europea e che farà diventare il contro del sistema di rocche e fortificazioni della Provincia di Forlì-Cesena.

CASTELLO MALATESTIANO DI GATTEO. Il castello di Gatteo sorge nel XIII secolo presumibilmente sul luogo di un preesistente accampamento romano. Nel corso dei secoli è soggetto a diverse trasformazioni. Ha una configurazione quasi quadrangolare ed è munito di una torre e cinque baluardi e circondato da una larga fossa, in origine sempre piena d'acqua, oltrepassabile con un ponte levatoio.
Nel lato orientale della cinta muraria si trova l'ingresso del castello, costituito da un arco a tutto sesto sormontato da una torre quadrata, il cassero, dove sono visibili le corsie per lo scorrimento delle travi che azionavano il ponte levatoio; e sulla sommità del cassero la seicentesca torre civica.
Nella seconda metà del '700 le mura, ad eccezione del lato orientale che conserva avanzi dei beccatelli e della muratura, vengono abbassate e di conseguenza la fossa circondante il castello completamente riempita di terra ed il ponte levatoio, unico accesso all'edificio, sostituito con un ponte in pietra.

 

 

Galeata e Savignano sul Rubicone: “Parchi e Aree Archeologiche: la Villa di Teodorico e il Parco Archeologico di San Giovanni in Compito

Galeata e Savignano sul Rubicone: “Parchi e Aree Archeologiche: la Villa di Teodorico e il Parco Archeologico di San Giovanni in Compito

Ancora in tema di arte monumenti romagnoli: dalla Villa di Teodorico al Parco Archeologico di San Giovanni in Compito, da Galeata a Savignano sul Rubicone, partendo dall’entroterra della Romagna fino alla costa.

VILLA DI TEODORICO A GALEATA. Galeata, assieme alle frazioni di Pianetto e San Zeno, offrono ai visitatori un inconfondibile patrimonio di eccellenze storiche ed archeologiche.
Nelle vicinanze i resti dell’antica città di Mevaniola, municipio romano citato da Plinio nel I secolo d.C., di cui oggi sono visibili un settore delle terme e il teatro a pianta greco-ellestistica.
Fra il V e il VI secolo d.C., secondo la leggenda, Teoderico giunse nella valle del Bidente, presso Galeata (Galigate), per costruirsi un “palazzo di caccia”. Le recenti ricerche archeologiche condotte dal Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna hanno individuato una ricca residenza in località Saetta, con un articolato impianto termale privato, che potrebbe veramente essere una residenza del re degli Ostrogoti. Contemporaneamente alla costruzione della villa teodericiana, Ellero si ritirò nel colle sopra Galeata, fondandovi poi un centro monastico, destinato a divenire molto potente durante il Medioevo. Assai suggestiva, all’interno dell’edificio religioso, la cripta con il sarcofago del Santo, in cui si compie un antico rito salutare.
Nel Medioevo il territorio galeatese è caratterizzato dalla presenza di castelli (Pianetto, Torre di Poggio Galmino, Torre di Monte Erno a San Zeno), di insediamenti religiosi e di borghi.
Nel corso del XV secolo Galeata passa sotto l’influenza di Firenze, rimanendovi per vari secoli, tanto che è ancor oggi percepibile l’influenza toscana amalgamata a quella romagnola, nel dialetto, nelle tradizioni popolari e nella gastronomia. Questa impronta toscana è evidente poi negli edifici storici, come nella chiesa di S. Maria dei Miracoli a Pianetto.
A fianco della chiesa fu costruito nel corso del Cinquecento un convento affidato all’ordine francescano dei Padri Minori, oggi sede del Museo civico.
Il Museo, nato dalla passione e dall’amore per la terra natale di Mons. Domenico Mandrini, si pone come centro ideale di un territorio tutto da scoprire, ricco di chiese, vie silenziose, angoli nascosti.
I resti pre e protostorici di Galeata sono scarsi e frammentari. Tracce di frequentazione risalgono al periodo eneolitico (2400-1800 circa a.C) e consistono in una accettina di roccia vulcanica, una punta di freccia in selce, un'accetta di pietra verde levigata e alcuni martelli litici, ora conservati presso il Museo Mambrini a Galeata.
Durante l'età del ferro il territorio galeatese è interessato da quel movimento di genti italiche che si verifica in Romagna tra VI e IV sec., in particolare di Umbri. A quest'età risalgono due bronzetti-anch'essi conservati in Museo-stilisticamente attribuibili al gruppo etrusco-italico. Il primo consiste in una figurina femminile con alto "tutulus", di una tipologia assai diffusa in ambito etrusco, databile al V sec.a.C; l'altro rappresenta una statuetta di offerente (IV-III a.C.).
L'assoggettamento del territorio galeatese ai Romani avvenne dopo il 266 a.C. quando fu conquistata Sarsina, nell'attigua valle del Savio.
Tra il II e il I sec. a.C. gli abitanti ottennero la cittadinanza romana e furono quindi iscritti nel collegio elettorale della Tribù Stellatina.
Il territorio fu organizzato come Municipio e il processo di intensa urbanizzazione, comune a tutta l'Italia dopo la guerra sociale, portò alla fondazione di un centro cittadino con impianti e servizi razionali, destinato come capoluogo della vallata:nacque allora a sud-ovest di Galeata, presso Pianetto, la città di Mevaniola, che fu così denominata da immigranti venuti dal sud, certo dall'umbra Mevania(Mevaniola fu quindi la piccola Mevania) che recuperarono con ciò le antiche tradizioni locali delle origini umbre.
Plinio il Vecchio ricorda Mevaniola tra le città umbre, assegnata dal governo augusteo alla regione VI l'Umbria. Nel corso del V sec. d.c.la perdita dei mercati e l'insicurezza dei traffici portarono all'abbandono della cira e ad una diversa gravitazione urbana:nacque allora Galeata.

PARCO ARCHEOLOGICO DI SAN GIOVANNI IN COMPITO A SAVIGNANO SUL RUBICONE. Savignano sul Rubicone, già Savignano di Romagna, pare derivi la prima parte del toponimo dalla famiglia romana Sabiniana, mentre la seconda metà la si deve a Benito Mussolini, che pose fine nel 1933 alla controversia sul nome attribuendo a Savignano lo storico fiume.
Ancor oggi la diatriba sul toponimo è aperta. In epoca romana il fiume segnava il confine tra il territorio romano e la Gallia cisalpina.
Il primo nucleo abitativo della futura Savignano, il Compito (Compitum) ,sorse lungo quella che sarà la via Emilia ,all'incrocio con la via Regina che da Sarsina giungeva a Ravenna.
Nel 187 a.C. il console Emilio Lepido fece tracciare la via Emilia, mentre nel I° secolo a.C  venne eretto il ponte consolare sul Rubicone, che resistette per circa 2000 anni cedendo poi ai bombardamenti tedeschi della seconda guerra mondiale.
Il decadimento dei centri urbani dovuto alle invasioni barbariche portò un cambiamento radicale nell'organizzazione territoriale: dalla pianura e lungo i fiumi, le popolazioni si spostarono sulle colline, determinando un abbandono dell'agricoltura.
Vaste zone della pianura romagnola, non più curate dai contadini, si impaludarono e la malaria cominciò ad imperversare.
Anche la vallata del basso Rubicone divenne palude e selva  e i futuri "savignanesi" si ritirarono sul monte Gaggio e sul colle di Castelvecchio, che sovrasta l'attuale centro di Savignano.
Su quest'ultimo colle fu costruito un castello in un'ottima posizione strategica (sovrastava la via Emilia e il ponte consolare sul Rubicone). Il villaggio doveva essere florido se nel 1085 era soggetto alla signoria di un certo Alberto Savignani, di nobile famiglia bolognese.
Durante il Medioevo , nel 1150, appare citato per la prima volta un "Castrum Savignani" che apparteneva agli arcivescovi di Ravenna; dopo la riconferma da parte dell'imperatore Ottone nel 1209, gli stessi arcivescovi concessero Savignano ai Malatesta di Rimini.
E' del 1359 la fondazione del primo nucleo della struttura urbana dell'attuale Savignano ad opera del cardinale Albornoz, incaricato dal Papa di ristabilire la sua autorità nell'Italia centrale creando un vero e proprio sistema di capisaldi strategici. Fu il cardinale a predisporre il trasferimento dei savignanesi da Castelvecchio verso la pianura, che allora era fittamente boscosa, inospitale e piena di ladri e assassini che assalivano i pellegrini diretti a Roma che percorrevano la via Emilia; da questo momento ebbe inizio l'opera di bonifica e dissodamento di queste terre da tempo dimenticate.
Durante il Medioevo Savignano resistette all'attacco delle signorie locali, i Polentani, gli Ordelaffi, i Manfredi, cedendo solo ad Angelo della Pergola, nel 1415, che guerreggiava per Filippo Maria Visconti.
Nel 1500 Savignano fu presa da Cesare Borgia, il "Valentino", che apportò migliorie alla cinta muraria difensiva.
In seguito Savignano passò dalla Repubblica di Venezia allo Stato della Chiesa. Nel 1521 il duca di Urbino , Francesco Maria della Rovere, alleatosi con gli Orsini, gli Este, i Gonzaga e i Baglioni di Perugia, strinse d'assedio Savignano con un poderoso esercito. La città cadde, fortunatamente senza essere distrutta; in seguito divenne feudo del conte Guido Rangoni di Modena, che la governò malamente, tanto che alla sua morte i savignanesi si ribellarono alla vedova ma furono sconfitti nel 1545 dalle truppe pontificie.
In questo periodo Savignano si presenta come una vera città fortificata: la cinta muraria fu realizzata dal 1558 al 1561 in base a nozioni di tecnica militare dell'epoca. Si ha infatti notizia di una compagnia di muratori venuti da lontano specializzati in ingegneria militare; storici dell'epoca ricordano che la cinta era munita di diverse torri vicine le une alle altre e pare  che il capomastro stesso, a costruzione avvenuta, volesse impossessarsi del castello.
Savignano rimase sotto lo Stato Pontificio fino al 1796, quando entrò a far parte della Repubblica Cisalpina.
Furono pochi i cambiamenti della cittadina durante la dominazione francese: Napoleone non mutò la situazione economica locale e le terre requisite agli ecclesiastici passarono non ai contadini ma ai proprietari terrieri.
Con la Restaurazione la Romagna tornò allo Stato Pontificio fino alla proclamazione del Regno d'Italia.
Si sta provvedendo aella ristrutturazione dell'ala della canonica adiacente la Chiesa di S. Giovanni in Compito a fini mussali, inserendosi come prosecuzione ed ampliamento del Museo Archeologico del Compito, nato attorno al 1930 ad opera del Sacerdote Don Giorgio Franchini, per raccogliere i reperti provenienti dall'area circostante, con l'intento di arginare la dispersione dei materiali perpetrata da secoli nella zona.
La pieve di San Giovanni è, fin dal Medioevo, il primo museo archeologico del Compito, poiché vede nella sua costruzione il reimpiego di materiali antichi, che altrimenti sarebbero andati perduti.
Dal 1998 il Museo promuove iniziative scientifiche e didattiche, realizzate dal Comune di Savignano sul Rubicone d'intesa con la Sovrintendenza per i beni archeologici dell'Emilia-Romagna e con la curia Vescovile di Rimini.
La raccolta è distribuita in tre sale e consta di reperti tutti di provenienza locale che ricoprono un arco cronologico ampio, dalla preistoria all'Alto Medioevo, con una significativa raccolta di frammenti architettonici e scultorei, come alcuni grossi rocchi di colonne scanalate, terrecotte figurate legate alla decorazione di importanti edifici di età repubblicana.
La documentazione più abbondante è quella di età romana, compresa fra il III sec. a.C. e il IV d.C.; i
reperti permettono di ricostruire la vita di un importante villaggio, che sorse lungo la via Emilia fra le due città di Cesena e Rimini quale stazione di posta per il cambio dei cavalli, luogo di ristoro per i viaggiatori, snodo stradale fra la via Emilia e le direttrici che collegavano la collina e la pianura e luogo religioso a conforto dei viandanti, come lasciano ipotizzare alcuni reperti riferibili ad un edificio pubblico di considerevoli dimensioni, probabilmente un tempio.
Da tali ipotesi, suffragate dal parere della sovrintendenza competente, è auspicabile l'ampliamento degli scavi per il ritrovamento di quanto ancora si suppone esista, per avere un quadro più completo della vita di quell’epoca.
Realizzazione dell'intervento di recupero e restauro dell'antico ponte medioevale sottostante l'attuale
Piazza del Torricino nel Comune di Savignano sul Rubicone:
Tale intervento è localizzato all'interno del perimetro storico della città di Savignano, a ridosso della via Emilia, nel punto in cui sorgeva l'antico mulino. Il luogo in oggetto denominato Piazza del Torricino, appartiene all'ambito storico del Castello, l'antica città edificata dall'Albornoz nel quattordicesimo secolo.

Itinerari in riviera, la Riviera Romagnola non solo mare

Itinerari in riviera, la Riviera Romagnola non solo mare

Per godere completamente la qualità e la bellezza di quest’area del territorio romagnolo, proponiamo un itinerario attraverso Cesenatico partendo dalla Pineta di Zadina che si estende per 3,5 ettari a ridosso della spiaggia, dopo il quale incontriamo il grande
Parco di Ponente, con un’estensione di 13 ettari quasi completamente alberati.
Proseguendo sul litorale, si arriva sino al molo, alla radice del quale si apre la grande Piazza Spose dei Marinai,  affacciata sul mare, dove un gruppo di bronzo raffigura una madre che insieme ai bambini guarda l’orizzonte per scorgere la barca del marito.
Girando attorno alla darsena turistica, raggiungiamo il Mercato Ittico  all’ingrosso, dove al ritorno dalla pesca si intrecciano frenetiche contrattazioni. Siamo ormai nel Centro Storico, che si sviluppa attorno al Porto Canale Leonardesco, cuore della città. Il 6 settembre 1502 Leonardo da Vinci venne in Romagna per verificare le fortificazioni e le strutture strategiche del ducato di Cesare Borgia, e in quella occasione effettuò un disegno e un rilievo del porto di Cesenatico.
Nel tratto di porto canale più interno, chiuso fra i due ponti, c’è la sezione galleggiante del Museo della Marineria (nato per ricordare e illustrare la vita del borgo)  completato dalla sezione a terra che ha sede in due edifici che si affacciano sullo specchio d’acqua.
Sono qui conservate imbarcazioni da pesca e da trasporto, oltre a oggetti e testimonianze della marineria tradizionale a vela dell’Adriatico; in estate le barche del museo issano le loro caratteristiche vele colorate. Nei locali adiacenti è allestito anche l’Antiquarium Comunale, che conserva reperti archeologici a testimonianza dei primi insediamenti romani nel territorio circostante a Cesenatico. A poca distanza, si può passeggiare nel Parco archeologico della Rocca, per vedere i ruderi restaurati del castello che nei primi anni del Trecento segnò l’inizio del “Porto Cesenatico”. Tornando lungo il Porto Canale, dopo avere visitato la chiesa di San Giacomo (sec. XVIII, con un dipinto di Guido Cagnaccci),
al centro della Piazza Pisacane sorge il monumento a Giuseppe Garibaldi, in ricordo del suo imbarco del 2 agosto 1849, e dello stretto legame tra Cesenatico e l’Eroe dei Due Mondi. Nell’angolo opposto, oltre il ponte sul canale, è visitabile Casa Moretti, casa natale dello scrittore Marino Moretti, da lui lasciata in eredità al Comune di Cesenatico affinché vi fossero conservati, insieme all’arredo originale e alle numerose stampe, i suoi libri e le carte autografe.
Dietro a Casa Moretti vi è il Teatro Comunale, uno dei più belli della Romagna. Sul lato opposto di levante del porto canale, dietro l’antica Pescheria ancora in uso, si trova la suggestiva Piazzetta delle Conserve, che deve il nome alle particolarissime costruzioni interrate risalenti al secolo XVII, vere e proprie “celle frigorifere” in cui il pesce si poteva conservare per lunghi periodi.
Proseguendo lungo Corso Garibaldi (l’antica banchina del porto canale) si giunge a Piazza Ciceruacchio, dove mattoni di diverso colore disegnano il perimetro dell’antica Torre Pretoria eretta alla fine del XVI secolo a difesa del porto e distrutta da un attacco navale inglese nel 1809. Procedendo verso la spiaggia si arriva ai Giardini al Mare, attrezzati con prati, gazebo, fontane e giochi per bambini. Fra il centro cittadino e la frazione di Valverde si estende per 4 ettari il grande Parco di Levante, dove si trovano anche due laghetti con cigni reali, anatre mandarine, gallinelle d’acqua e numerose varietà di pesci; un parco giochi, un percorso vita, un centro per la ristorazione e l’organizzazione di attività ricreative completano le infrastrutture del parco.
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